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L'autobiografia che Dexter Gordon non riuscì mai a completare, ripresa ed elaborata dalla moglie Maxine fino a trasformarsi in uno dei testi più profondi, sinceri e sorprendenti della letteratura contemporanea sul jazz. Un'opera tanto ricca, stratificata e imprevedibile quanto può esserlo una grande composizione jazzistica. Nelle parole di Maxine, quella di Dexter Gordon è «la storia della fenice che risorge: lui che torreggiava dai suoi due metri d'altezza, il simbolo del cool, il musicista che ha portato il linguaggio del bebop sul sassofono tenore, l'uomo che per un decennio è scomparso tra droga e prigione riuscendo poi a riemergere, il musicista che partì dagli Stati Uniti nel 1962 per tornare a New York, quattordici anni dopo, accolto da folle plaudenti». Fra queste pagine si incontrano molti protagonisti di quella che Gordon considerava la sua "famiglia jazz": i padri Louis Armstrong, Duke Ellington, Lionel Hampton, Count Basie, Lester Young, Coleman Hawkins, Ben Webster; i figli Wayne Shorter, Joe Henderson e John Coltrane, oltre ai tanti fratelli e compagni di viaggio, da Fats Navarro a Mary Lou Williams, da Dizzy Gillespie a Bud Powell e Wardell Gray. Un libro che getta finalmente lo sguardo nel profondo di una vita che ha alternato altezze sbalorditive a tragici precipizi, ricca di contraddizioni ed enigmi, resa indimenticabile da innumerevoli registrazioni e persino da un film che portò Gordon a un passo dall'Oscar. Una storia che in ogni pagina riflette l'amore per il jazz e l'instancabile ricerca artistica di una personalità gigantesca. Una storia che, nonostante tutto, lo stesso Gordon volle giudicare a lieto fine.